Si fa presto a dire casa. Ogni secolo ha immaginato l’abitare secondo le esigenze e le passioni di chi lo ha vissuto. Per molto tempo, fin da Vitruvio, l’unica costante è stata la ricerca di solidità e di stabilità. Quello della casa come luogo sicuro è un tema che si rafforza nell’Ottocento con l’emergere della borghesia moderna e del concetto di privacy. La città non è più il recinto dentro al quale sentirsi protetti, ma il luogo di tensioni e di rapide trasformazioni economiche e sociali. La sicurezza si cerca fuori, andando verso la periferia e dentro alla propria città individuale: la villa.
Da qui nasce, racconta Molinari, la casa moderna che è immagine di chi la abita. Lo teorizzerà il celebre Adolf Loos nel suo Raumplan, descrivendo la capacità dello spazio di generarsi dall’interno, in sintonia con il carattere e la personalità del committente. È una nuova dimensione di casa, intesa come luogo soggettivo e psicologico, privato e intimo; così spesso la immaginiamo anche oggi, forse più in modo romantico che consapevole.
Alla fine degli anni Sessanta un’artista mette in discussione questa visione. Gordon Matta-Clark, apre letteralmente in due le case nelle periferie residenziali di New York, tagliandole a metà con seghe circolari mostra cosa c’è dentro i villini borghesi, esponendo frammenti di segreti domestici.
Un gesto artistico provocatorio che mette in discussione l’idea di casa che ci ha accompagnato per molto tempo, dalla villa rurale dell’impero romano, al casino dei piaceri rinascimentale e barocco, passando per il palazzetto neoclassico nelle campagne inglesi fino al cottage borghese.
La storia della casa è quella della progressiva affermazione di una individualità famigliare che si contrappone alla necessità di stare insieme, protetti, dentro la cerchia urbana: dalla città alla casa, dalla collettività all’individuo.
La regolazione di questo rapporto tra privato e pubblico sono le soglie. Da sempre elemento chiave per comprendere le evoluzioni dell’abitare; porte, finestre, bow-windows, balconi, verande separano interno ed esterno in modi diversi a seconda del tempo e dei luoghi nel mondo.
Il primo attacco al tema della privacy urbana arriverà con il progetto architettonico moderno, nella prima metà del Novecento. Quando ferro, cemento e acciaio si affermano come materiali di costruzione primari, emerge il tema della casa trasparente che con la sua permeabilità va contro il nostro naturale senso di protezione. Le finestre diventano sempre più grandi, lo spazio inondato di luce, lo sguardo si libera verso il paesaggio e, al tempo stesso, ci mette in mostra.
Pensiamo a quanto scrive Bruno Taut in merito alla sua Glasarchitektur o alla Farnsworth House progettata da Mies van der Rohe, scatola di acciaio bianco e cristallo.
Il nuovo secolo vede l’ascesa della casa democratica, alla portata di tutti. Il tema moderno del modulo abitativo razionale e moltiplicabile si diffonde in maniera esponenziale producendo palazzine, agglomerati di abitazioni per moltitudini, incapaci però di dar vita a una dimensione urbana e umana relazionale. In queste costruzioni che sono la somma di unità monofamiliari ogni appartamento riproduce un rito della vita quotidiana organizzato razionalmente e diviso per zone. La zoning della progettazione urbana applicato alla casa definisce rigidamente zona giorno e notte, salotto, cucina, corridoio, stanze da letto, bagno. È così per le case delle periferie tedesche negli anni Venti, per le costruzioni della Russia rivoluzionaria, sarà così per le abitazioni collettive popolari olandesi. In un aumento di scala vertiginoso l’Unité d’Habitation di Le Corbusier diventa le New Towns Britanniche o ancora, per fare un esempio a noi noto, le Vele di Scampia.
La seconda metà del Novecento è quella di una popolazione globale fluida che ha cercato di appropriarsi sempre più di questi spazi, rigidamente definiti, da un punto di vista soggettivo, adattandoli di giorno in giorno ai propri bisogni. La necessità di superare i limiti di una casa pensata come luogo esclusivamente privato emerge con forza negli anni Settanta. Lo fa anche grazie a numerosi progetti visionari di artisti e architetti che ripensano la casa come luogo politico della società. Nella celebre mostra “Italy: the new domestic landscape” tenutasi presso il Moma di New York mel 1972, dodici allestimenti presentano possibili modi di abitare per il futuro. Sottsass, Bellini, Pesce, La Pietra, Mari, Archizoom Associati e molti altri si dividono tra visioni futuristiche, in cui la tecnica dischiude scenari inimmaginati, e contributi critici che ci chiedono di ripensare l’abitare dalle fondamenta.
Cinquant’anni dopo, questo sembra ancora più necessario. L’introduzione della virtualità sta cancellando ogni residuo di privacy, costringendola a ritirarsi negli spazi più intimi; di contro gli ambienti commerciali sono sempre più pensati come ideali ambienti domestici. Eppure, la casa sta diventando altro da ciò che è nel nostro immaginario e i modelli tradizionali vengono messi in discussione. Luca Molinari ci invita a superare le tipologie canoniche che ci dividono in stanziali, nomadi, turisti, pendolari e chissà cos’altro. I nuovi modelli di abitare che sapremo proporre offriranno nuove possibilità di cittadinanza e di appartenenza ai luoghi.
Jonathan Pierini