Progettare l’esperienza. Francesco Zurlo e l’ecosistema dell’innovazione

Design thinking per l'innovazione

Da oltre un decennio il design non si occupa più soltanto di progettare oggetti o costruzioni, quanto di progettare servizi ed esperienze. I designer si trovano così a considerare non solo lo spazio bi- o tridimensionale del progetto, ma anche le variabili temporali in cui esso si dispiega. La user journey dell’utente di servizi tiene conto di un prima, di un dopo e di un durante, nonché di tutti i punti di contatto – i touch point – tra l’utente e il servizio offerto situati nel tempo più o meno lungo di un’esperienza. L’oggetto del progettare diviene così l’esperienza stessa che non deperisce con il consumo immediato, che non può essere separata dal soggetto o ceduta, e che una volta vissuta entra a far parte di una memoria personale, emotiva e sensoriale durevole.

Questo non significa perdere di vista la fisicità del progetto, piuttosto tenere in considerazione ogni aspetto che concorre a definire la relazione tra utente e servizio fin nei minimi dettagli; nel caso di un brand: dall’identità grafica all’architettura del punto vendita, dalla comunicazione attraverso le piattaforme social al linguaggio utilizzato dagli addetti.
I processi del design di tipo euristico, che procedono per prove, errori e revisioni, adatti alla risoluzione di problemi debolmente definiti si trovano così a dover essere applicati ad ambiti sempre più estesi e complessi, a strategie intese come coordinamento di attività che includono beni, persone e processi. Ma all’inizio di ogni processo di design, sottolinea Zurlo, c’è l’individuazione del problema o la riformulazione di un problema posto in modo non corretto. Si tratta spesso di ridefinire il brief con un’operazione di problem setting più che di problem solving: comprendere e descrivere il problema per poter quindi procedere alla sua risoluzione.

A questa complessità danno risposta diversi modelli di design strategico: dal creative problem solving che mette al centro del processo la prototipazione di soluzioni a partire da un’indagine partecipata volta a definire le esigenze alla sprint execution che abbrevia i tempi di definizione del problema; dalla creative confidence che prevede l’ingaggio e la partecipazione di tutte le figure coinvolte nel processo produttivo all’innovation of meaning. Via italiana al design strategico, messa a punto da Roberto Verganti, questa individua una possibile strada nell’epifania tra innovazione basata sul design, innovazione tecnologica e di mercato.

In un simile scenario sembra sempre più necessario un cambio di prospettiva che mette al centro dei nuovi modelli di business le persone e le pratiche, una dimensione critica ed esplorativa.
In quella che Pine and Gilmore definiscono la experience economy (1998), la differenziazione non avviene più soltanto per mezzo dell’innovazione di prodotto: serve offrire opzioni e personalizzazioni, lavorare sulle narrazioni del brand, sperimentare modalità di relazione che siano distintive e autentiche, costruire piattaforme di scambio e conoscenza.

Tale complessità è il sistema prodotto: l’oggetto del design strategico in cui l’innovazione può assumere molti volti e tutti interconnessi. Per comprendere come muoversi serve una sempre maggiore consapevolezza rispetto alle possibilità del progetto di produrre cambiamento nell’ambito di un’innovazione intesa a livello sistemico.
Il design, in tutte le sue forme, nella sua capacità di ridefinire i problemi e individuare soluzioni innovative offre tutti gli strumenti per agire in ecosistemi di business complessi, paesaggi in continuo mutamento in cui differenziarsi è sempre più difficile.

Jonathan Pierini

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